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Le PMI incalzate nella corsa al digitale
Luglio 2020

Le PMI incalzate nella corsa al digitale

Riprogettare e ridisegnare senza paura di fallire

Sei paesi europei analizzati - Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna ed Olanda- e 2277 intervistati provenienti da piccole e medie imprese per un sondaggio dall'esito imprevisto sull'acquisto di software realizzato il mese scorso da Capterra, società di rating di software provider riconosciuta a livello mondiale.

Le interviste sono state condotte nel periodo dal 15 al 19 Maggio di quest’anno e le risposte dei decisions makers, ossia delle figure operative influenti sugli acquisti (manager, senior manager e direttori), raccontano uno spaccato probabilmente molto diverso da quello che avremmo potuto immaginare se, Covid-19, non fosse mai esistito.

Il 52% delle PMI coinvolte ha dichiarato infatti di aver dovuto implementare e/o pianificare più velocemente gli acquisti di nuovi software che risultano decisivi per garantire la Business Continuity, le comunicazioni e la collaborazione lavorativa da remoto con clienti e colleghi. Tra queste, alcune hanno aumentato anche fino al 50% la propria spesa su tools digitali definiti dagli intervistati “particolarmente essenziali” (45%) o “assolutamente essenziali” (42% !!) per assicurare sopravvivenza e competitività alle aziende.

Pandemia e Solidarietà digitale per spingere sulla Trasformazione digitale

Certamente la crisi Covid ha smosso nuove esigenze per le imprese: in alcuni casi di familiarizzazione/adozione nel senso che si è trattato di un primo timido approccio al digitale, in altri di implementazione/verticalizzazione ad indicare che si trattava di aziende che già avevano pianificato acquisti  di supporti digitali e che sono andate ad implementarli. Molti provider d’altro canto, in pieno spirito di #solidarietàdigitale e augurandosi che sul digitale d’ora in poi non si facciano più passi indietro, hanno offerto gratuitamente molti strumenti avanzati utili per affrontare l’emergenza: da software per smartworking/telelavoro sicuro, a quelli per permettere la gestione delle riunioni, ai  programmi per garantire i normali processi organizzativi aziendali includendo nei pacchetti, spesso, anche formazione e assistenza che in Italia sono vitali per supportare davvero le PMI.

Secondo il sondaggio questo è quindi un periodo nel quale le PMI stanno seriamente valutando cosa fare con orizzonti temporali più ampi e pensando lateralmente. La questione è diventata (ci si augura fortemente!)  non solo fronteggiare le difficoltà del momento ma mettere basi solide all’interno delle proprie organizzazioni in termini di trasformazione digitale. E se il 39% sta in generale ancora studiando e approfondendo l’aspetto del digitale, il 31% è già consapevole dell’imprescindibilità di “essere digital” ed è già in fase di scouting e di valutazione delle soluzioni digitali da acquisire.

Formazione e competenze digitali: territori da monitorare e sui quali investire

Insieme alla scelta di software da implementare in azienda, le PMI si sono dovute mettere inevitabilmente a confronto anche con il pericolo di attacchi informatici, reso ancora più grave dall’ampio uso di reti private non sicure e dalla mancanza di una formazione adeguata. Ciò ha portato, nel concitamento generale di dover immediatamente “trovare” soluzioni che potessero comunque garantire il lavoro dei dipendenti da casa, all’adozione -frettolosa e a volte incauta- di strumenti spesso non sicuri dal punto di vista della protezione dei dati e dei documenti. Il che ha evidenziato i diversi gradi di consapevolezza rispetto al “mondo della cyber sicurezza” e alla formazione che questa richiede: a fronte di chi ha iniziato a familiarizzare con acronimi tipo VPN o con problemi come il phishing, altri non hanno ancora avuto il tempo di adeguarsi nei pochi mesi a disposizione, per fronteggiare più serenamente l’impatto con il lavoro da remoto.

Indice DESI l’Italia al quart'ultimo posto: il capitale umano come carta sulla quale scommettere?

E il pensiero inevitabilmente va a quel 25° posto (su 28) dell’Italia nei dati diffusi di recente dall’UE dell’ultima edizione dell’indice Desi (Digital Economy and Society Index) che monitora il grado di digitalizzazione economico e sociale a livello europeo. L’Italia appunto, tristemente in testa solo a Romania, Grecia e Bulgaria, pietrificata in una posizione di “medioevo digitale”. Tra tutti i parametri presi in considerazione dal Rapporto, forse il più preoccupante per il nostro Paese è proprio la mancanza di competenze digitali (dall’uso di Internet alle capacità digitali più avanzate che permettono di fruire dei servizi on line) che la relega all’ultimo posto in Europa e che sembrerebbe inibire all’Italia il salto culturale decisivo e le relative azioni che farebbero la differenza. E questo nonostante in Italia, soprattutto in periodo Covid, siano state messe in atto molte iniziative di e-governament  (servizi pubblici digitali diretti a scuole, sanità e procedure on line semplificate)  a disposizione dei cittadini e sebbene anche l’Agenzia per l’Italia Digitale si sia spesa per suggerire ai player grandi e piccoli del mondo digital, di offrire anche gratuitamente i propri servizi allo scopo e di diffonderli maggiormente e di agevolarne la penetrazione nel tessuto delle PMI.

E questa resistenza all’uso del web e alla sua naturale fruizione porta con sé strascichi nel rapporto che gli italiani hanno con la Rete e con quello che di buono e di semplificato dalla rete si può prendere. Ecco perché la formazione del nostro capitale umano, la nostra formazione in sostanza, è probabilmente la carta su cui giocare ora investimenti, tempo e risorse in modo da toglierci definitivamente di dosso quel pregiudizio negativo dell’” impotenza appresa” che ancora ci imprigiona. Orizzonti temporali più brevi nei quali concentrare sforzi concreti e creativi per procedere, passo dopo passo, verso la liberazione dall’inadeguatezza digitale, costruendo prototipi di vita (e di società) che ci permettano di riprogettare con consapevolezza e convinzione.

Sabrina Girardi